Cos’è l’architettura hight tech?

Spesso nel mondo della creatività e dell’innovazione le varie branche rimangono isolate una dall’altra e non riescono a comunicarsi a vicenda il proprio know how.
L’architettura high tech, invece, è un ottimo esempio di commistione tra saperi poiché non è altro se non l’applicazione del portato ingegneristico a quello legato all’architettura tradizionale.

Quando e come è nata l’idea di architettura high tech
come tutti gli incontri e le contaminazioni, anche quello tra architettura ed ingegneria, da cui sarebbe appunto nata l’architettura high tech, non è stato mai scontato.
Nel 1700, alla luce delle grandi scoperte ed invenzioni che stavano cominciando a cambiare l’aspetto delle città, si inizia a distinguere in modo molto netto tra “arte” e “tecnica”, dove la prima sembrava comprendere tutto ciò che atteneva al bello ma che non aveva particolare utilità e la seconda, al contrario, atteneva a tutto ciò che faceva progredire l’uomo ma che non doveva rispondere ad alcun criterio estetico.
A partire dalla metà del secolo successivo, questa distinzione che era andata sempre accentuandosi di pari passo con l’aumento dell’utilizzo della tecnologia, inizia a vedere le prime crepe. Le grandi esposizioni, che devono colpire l’occhio del visitatore e stupirlo ma anche mostrargli il progresso umano, sembrano essere le sedi più adatte a riunire “il bello” e “l’utile”.
Nel 1851 il progetto de Palazzo di Cristallo di Londra e nel 1858 quello della Biblioteca Nazionale di Parigi, sono i primi grandi cantieri dell’architettura high tech che vengono messi in piedi. I loro creatori (Joseph Paxton a Londra e Henri Labrouste a Parigi) danno vita ad enormi strutture che non nascondo più gli elementi portanti della struttura bensì li inseriscono nel progetto globale dando loro dignità estetica.
Questi due progetti erano decisamente all’avanguardia ed infatti rimangono sostanzialmente incompresi per un secolo fino a quando Renzo Piano, oggi no dei massimi architetti italiani, insieme al collega Richard Rogers, realizza con gli stessi principi il Centre Pompidou, detto anche Beabourg, a Parigi.

Dal Beauborg ad oggi continua il cammino dell’architettura high tech
Questa felicissima unione di diverse anime del sapere cambia la progettualità a venire e sin dagli anni ’60 l’architettura high tech è divenuta strumento di innalzamento dell’estetica e della funzionalità delle costruzioni.
Grazie alla sua base estetica, questa disciplina riesce a veicolare significati simbolici, entrare in relazione con l’ambiente in cui si inserisce e rendere la costruzione di grandi edifici più consona alla necessità di bello, oltre che di praticità, che è insita nell’uomo.
Da ciò si vede come l’high tech sia riuscito ad inserirsi nel solco dell’architettura moderna ed a superarla aumentando lo spazio per l’innovazione tecnologia.
L’architetto high tech è un progettista che unisce all’amore per il disegno complessivo di un progetto quello per la funzionalità; in altre parole possiamo affermare che egli mira a rendere le proprie opere vere e proprie macchine funzionanti, che seppure senza muoversi, siano in grado di svolgere compiti che fino a pochi decenni fa si riteneva dovessero compete in via esclusiva ai supporti tecnologici (macchine per la produzione in serie, veicoli di vario genere, etc.)

Com’è un edificio high tech
E’ possibile riconoscere un edificio high tech già ad una prima occhiata; esso infatti tende ad avere una caratteristica specifica: la parte esterna è trasparente. Ciò serve a poter rendere visibili le componenti tecniche, strutturali e funzionali.
Anche l’interno deve essere ben “leggibile”. La suddivisione degli ambienti è geometrica e se ne riconosce la verticale e l’orizzontale . Ciò fornisce all’occhio un’immagine di ordine e nitore, in cui non deve essere difficile orientarsi.
In Italia, uno dei massimi esempi di architettura high tech è rappresentato dal Centro Direzionale sorto a Napoli negli anni ’90 e progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange. Alcuni dei massimi architetti italiani (Renzo Piano, Massimo Pica Ciamarra e Nicola Pagliara) hanno progettato i singoli palazzi del Centro Direzionale.